lunedì 15 aprile 2013

“LA BUSTINA DI MINERVA”



Loro Scompaiono:    “LA BUSTINA DI MINERVA”

 

Il Fiammifero è un oggetto che oramai è scomparso dalle nostre case, sostituito da accendini o accendigas, consisteva in un pratico oggetto che consentiva di procurarsi il fuoco, tant’è vero che il termine “fiammifero” deriva dalla radice latina del verbo “fero” che significa letteralmente “portatore di fiamma”.
La sua storia risale alla Cina del 577, ove troviamo gli antenati del fiammifero, bastoncini di pino impregnati di zolfo. Ma il primo vero fiammifero a sfregamento fù inventato dal chimico inglese John Walker nel 1827. Ma già nel 1680 Robert Boyle aveva utilizzato fosforo e zolfo uniti su un bastoncino ma senza ottenere un risultato pratico. Wolker quindi sostituì al fosforo e allo zolfo una miscela di solfato di antimonio , clorato di potassio, gomma e amido, i quali si accendevano grazie allo sfregamento con una superfice ruvida, ma la fiamma era instabile e l’accensione era troppo brusca e violenta, lanciando scintille a grandi distanze, e l’odore della combustione era sgradevole. Nel 1831 quindi Charles Sauria aggiunse fosforo bianco per eliminare il cattivo odore. Il fosforo tuttavia causava numerosi problemi alla salute, poiché era altamente tossico, e di conseguenza si abolì questo tipo di fiammiferi diversi anni più tardi, vennero definitivamente eliminati in tutto il mondo solo nel 1925. Nel 1836 in Ungheria lo studente di chimica Jànos Irinyi rimpiazzò il clorato di potassio con l’ossido di piombo ottenendo fiammiferi capaci di accendersi dolcemente. Egli vendette il brevetto al ricco farmacista Istvan Ròmer, il quale grazie al nuovo fiammifero divenne ancora più ricco, mentre il suo vero inventore morì povero ed abbandonato.
I fiammiferi svedesi o di sicurezza furono inventati nel 1844. Vennero ritenuti più sicuri in quanto gli ingredienti che formavano la combustione erano distribuiti in parte sul fiammifero ed in parte sull’involucro che li conteneva. Una strisciolina formata da verto polverizzato e fosforo rosso si trovava appunto sulla scatola e la capocchia conteneva solfuro di antimonio e clorato di potassio. Tramite lo sfregamento tra i due il fosforo rosso si trasformava in fosforo bianco e si infiammava accendndo così il fiammifero. La sicurezza derivava dall’aver sostituito il pericoloso fosforo bianco con quello rosso meno pericoloso. Dal 1898 troviamo in circolazione anche un altro tipo di fiammifero considerato di sicurezza, il così detti fiammiferi accendibili ovunque, e per l’accensione venne usato il sesquisolfuro di fosforo, sostanza ritenuta non velenosa. Essi si accendevano sfregandoli su una qualsiasi superficie ruvida, ma essendo autosufficienti questi fiammiferi erano in grado di accendersi per autocombustione nella scatola.
Negli anni a venire si produssero diversi tipi di fiammiferi, alcuni definiti anche speciali come i famosi fiammiferi controvento, i quali riuscivano a mantenersi accesi anche con forte vento grazie al rivestimento di miscela infiammabile distribuita su 2/3 del bastoncino.
In Italia la produzione di fiammiferi è d’attribuire al Cavalier Dellachà, il quale aprì nel 1860 la più grande fabbrica di fiammiferi, nei pressi di Torino. Tutti gli operai che si occupavano della produzione erano assicurati alla Cassa di mutuo soccorso dello stabilimento. Ed il quarant’anni non si verificò mai uno sciopero. Numerosi sono i riconoscimenti ricevuti per la robustezza del cerino, la buona accensione del fiammifero, la sua inalterabilità nelle ragioni piovose e la bellezza delle scatole.
Molti erano i tipi di contenitori, ma sicuramente i più pratici e tascabili erano le così dette “Bustine di Minerva”. Esse erano piatte e pratiche da tenere in tasca, e non si sciupavano né i fiammiferi né la parte ruvida per l’accensione in quanto erano entrambi all’interno della bustina che si apriva nella parte superiore. La parte di copertura era bianca ed usata come piccolo tacquino, da chi possedeva i fiammiferi per poterci annotare i propri appunti o brevi considerazioni.
Da qui nasce, sull’ultima pagina de “l’Espresso” la più famosa “Bustina di Minerva” di Umberto Eco, rubrica che aveva cadenza settimanale dal 1985 al 1998, quando divenne a cadenza quindicinale. La rubrica si occupava di piccoli inserti dedicati alla satira e al costume. Nel 2000 la casa editrice Bompiani ha deciso di pubblicare un antologia più volte ristampata ed anche tradotta in tedesco.


a cura di Sara Bonafè

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