da “Il Corriere della Sera”,’11 ottobre 1963, Dino Buzzati:
Un sasso è caduto in un bicchiere, l’acqua è uscita sulla tovaglia.Tutto qua. Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri, e giù sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi. E non è che si sia rotto il bicchiere; non si può dar della bestia a chi lo ha costruito perché il bicchiere era fatto bene, a regola d ‘arte, testimonianza della tenacia e del coraggio umano. La diga del Vajont era ed è un capolavoro. Anche dal punto di vista estetico.
Un sasso è caduto in un bicchiere, l’acqua è uscita sulla tovaglia.Tutto qua. Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri, e giù sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi. E non è che si sia rotto il bicchiere; non si può dar della bestia a chi lo ha costruito perché il bicchiere era fatto bene, a regola d ‘arte, testimonianza della tenacia e del coraggio umano. La diga del Vajont era ed è un capolavoro. Anche dal punto di vista estetico.
La strage del Vajont è il disastro occorso il 9 ottobre 1963 nel neo-bacino
idroelettrico artificiale
del Vajont.
L'evento fu dovuto ad una frana caduta dal versante
settentrionale del monte Toc,
situato sul confine tra le province di Belluno (Veneto) e Udine (all'epoca
dei fatti, ora Pordenone,Friuli-Venezia Giulia), staccatasi a
seguito dell'innalzamento delle acque del lago artificiale oltre quota 700
metri (slm) voluto dall'ente gestore per il collaudo dell'impianto, che
combinato a una situazione di abbondanti e sfavorevoli condizioni meteo (forti precipitazioni), e sommato a forti
negligenze nella gestione dei possibili pericoli dovuti al particolare assetto idrogeologico del versante del monte Toc, innescò il
disastro.
Alle ore 22.39
di quel giorno, circa 260 milioni di m³ di roccia (un volume quasi triplo
rispetto all'acqua contenuta nell'invaso) scivolarono, alla velocità di
30 m/s (108 km/h), nel bacino artificiale sottostante (che conteneva
circa 115 milioni di m³ d'acqua al momento del disastro) creato dalla diga del
Vajont, provocando un'onda di piena tricuspide che superò di 200 m
in altezza il coronamento della diga e che, in parte risalì il versante opposto
distruggendo tutti gli abitati lungo le sponde del lago nel comune di Erto e Casso,
in parte (circa 25-30 milioni di m³) scavalcò il manufatto (che rimase
sostanzialmente intatto seppur privato della parte sommitale) riversandosi
nella valle del Piave, distruggendo quasi
completamente il paese di Longarone e i suoi limitrofi. Vi furono 1917 vittime di cui 1450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo,
158 a Erto e Casso e 200 originarie di altri comuni.
Lungo le sponde
del lago del Vajont, vennero distrutti i borghi di Frasègn, Le Spesse, Il
Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, Fa è e la parte bassa
dell'abitato di Erto. Nella valle del Piave,
vennero rasi al suolo i paesi di Longarone,
Pirago, Maè, Villanova, Rivalta. Profondamente danneggiati gli abitati di
Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna. Danni anche nei comuni di Soverzene, Ponte nelle
Alpi e nella città di Belluno dove venne distrutta la borgata di
Caorera, e allagata quella di Borgo Piave.
La Diga oggi |
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Locandina del Film Vajont del 2001 |
Ciò che colpisce è che la Diga del Vajont sia rimasta in piedi... a ricordo di quella terribile sera, come se essa fosse l'enorme lapide per tutte le sue anime.
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La Diga oggi che troneggia ricordando le sue vittime |
Marco Paolini in un modo che solo lui sa fare ci racconta la strage, proprio ai piedi della grande Diga.
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