Monia Scarpelli ci ha scritto una simpatica storia, con protagonista il suo bambino e il Tato degli gnocchi: Giovanni il proprietario del Ristorante alll'Insegna del Gallo, di Scandicci - Firenze.
E' la festa della mamma e il mio ometto se ne torna a casa
con la faccia più compiaciuta che gli abbia mai visto. Poggia sul tavolo una
scatolina grande quanto una coppetta di gelato e sorride:
"Questo è tuo, mamma... è per la festa della
mamma" Lo ripete due volte, come per rimarcare il concetto.
E che diamine, la festa della mamma è un evento importante! “Grazie
amore e cos'è?” Domanda stupida, me ne rendo subito conto "Aprilo!" e
lo ridice ancora, tre, quattro, cinque volte, ma con una dolcezza ostentata
come se dovesse convincermi a farlo. La stessa dolcezza che cerco di usare io
quando tento di convincerlo a fare qualcosa, facendo si che la decisione finale
sia sua. Il ragazzo inizia a i recitare la parte dell'adulto piuttosto in
fretta.
"Va bene" sussurro. La scatolina e chiusa da un
tappo di cartone, a forma di margherita. Su ogni petalo c'e una frase che, a
quanto pare, l‘erede ha detto della sua mamma su richiesta o dopo una domanda
più o meno specifica della maestra. Dentro alla scatolina, una lunga collana, fatta
di pasta colorata infilata in uno spago. "Ma è bellissima!" Gli
schiocco un bacio su una guancia e lui mi guarda con gli occhi da cerbiatto e
dice; "Te la metti? Te la puoi mettere... se vuoi!" , "Certo che
me la metto!" La indosso e continuo a leggere le frasi scritte sui petali
di margherita. Alcune delle più significative dicono "mamma sei
bella", "mi piace giocare con te", ”mi piace andare al ristorante
con te".
In effetti, al mio piccino piace proprio quando andiamo a
pranzo o a cena fuori, nonostante il suo ritornello più frequente dica: "voi andare a casa mia, a casa
nostra" e i quando era più piccolo: “io voi la mamma!".
"Stasera potremo andare a mangiare una pizza per
festeggiare la mamma, che dici?" Fa finta di pensarci, mette l'indice
sotto il labbro inferiore e corruga la fronte, per poi rispondere "Uhm...
si, d‘accordo" , "E dove ti va di andare?" chiede il papà,
inserendosi nella nostra conversazione e facendo una domanda di cui conosce già
perfettamente la risposta, ”Dal Tato degli gnocchi!".

ll Tato degli gnocchi, in realtà, è il proprietario di un
ristorante-pizzeria vicino a casa, uno dei nostri rifugi preferiti per il
pranzo e per la cena per tre ragioni fondamentali: si mangia bene, l’ambiente e
familiare e i prezzi sono più che onesti. Ogni volta che andiamo lì, il nostro
ometto mette in scena tutta una serie di riti che lo fanno sentire a casa
propria: va in bagno e si lava le mani (nel bagno delle femmine se va con la
mamma, in quello dei maschi se lo accompagna il babbo), poi va dritto ad un
tavolinetto basso, vicino alla cassa, dove il proprietario e solito tenere una
gran quantità di libri per bambini. Sceglie uno o due libretti e torna al
tavolo soddisfatto, dove il titolare passa a salutarlo con l'ormai consueto: "Ciao
gnocchetto, che ti porto?" Nella stragrande maggioranza dei casi la
risposta è "Gnocchi al pomodoro" I due uomini - quello biondo in
versione ridotta e quello adulto, per meta calvo ma con una coda di cavallo
color cenere e un pancione prominente - si osservano e si sorridono. Poi
ordiniamo io e mio marito.
Durante una delle nostre cenette dal Tato degli gnocchi, ci
eravamo sistemati in un tavolino fuori e avevamo terminato in fretta la nostra cena
a base di pizza, per una volta tanto. Io e mio marito avevamo ordinato un caffè
e ci eravamo appoggiati allo schienale delle nostre sedie per godere un pò
dell‘aria fresca e dell‘estate che già bussava insistente alla porta. Una
cameriera carina, dai capelli ricci e scuri è arrivata con due tazzine tenute
in bilico su un piattino bianco e con una zuccheriera di vetro, di quelle da
bancone del bar per intenderci, tenuta sotto braccio.
"Metto io lo zucchero al babbo!" La mamma,
mannaggia a lei, lo prende amaro il caffè.
"Amore e la
zuccheriera di vetro, devi fare attenzione..." ”Io... io!" E cosi
dicendo, in un gesto maldestro che, onestamente, non gli si s’addice molto - devo
ammettere che il nostro è un bambino attento e un pò precisetto, anche troppo
in certe circostanze, che difficilmente rompe oggetti e giocattoli - tenta di
afferrare la zuccheriera che gli sfugge, cadendo rovinosamente per terra. Il tonfo
e seguito da un "crash" fatto di decine di vetri e di granelli di
zucchero che si sfregano tra sè in un’arruffata e dolcissima tempesta di neve.
Il piccino ha ancora
le braccia dritte davanti a sè e si osserva le scarpe, immerse in quella graniglia
bianca e luccicante: “oh oh..." e tutto quello che riesce a dire Io e il
papà cerchiamo di sdrammatizzare, cercando subito qualcosa per pulire e scusandoci
con la cameriera, ma puntualizzando: "Devi essere onesto e dire al Tato cosa
e successo. E' anche tuo amico..." Il piccino sembra rimuginarci su, ma
quando arriviamo alla cassa, libera la sua manina da quella del babbo e, con il
paio d'occhi più languidi che abbia mai visto - tanto che sembra che il castano
che ci sta dentro sia diventato liquido, due laghetti di cioccolata in tazza - allarga
le braccia in maniera teatrale e se ne esce con un: "Oh Tato ccusami! Ho rotto la zuccheraia!"
Ovviamente il Tato scoppia a ridere sotto i suoi baffi spettinati e noi con
Iui. Le braccia vengono riabbassate e chiuse, gli occhietti restano ancora un pò
liquidi e da cerbiatto e la serata si chiude con la certezza che mio figlio ha
una carriera da attore di teatro davanti a sè.
Monia Scarpelli